(Scroll down for the text in Italian)
Today is October 4, 2020, the high tide slips through the streets of Venice silently, the streets turned into canals. These water canals look like the old streams I saw as a child in Afghanistan or those canals that carried the weight of water helping the peasants in their work or to turn the blades of mills.
In my village, in the Ghazni region, from those mills originated our bread. But today I am here, in the middle of that salt water, an undrinkable water, that only makes boats float. For the first time, I tasted its unknown flavor when my rubber dinghy was swimming from Turkey to Greece, my mind was still in Afghanistan, a country that does not know the sea, especially the “taste” of the sea.
Years later, walking through the Venetian streets in Sestiere di Castello where my third life began, right in that specific structure Luigi, with the tip of his colored and warm pencils, draws the map ofthat welcome center for unaccompanied foreign minors, while I explain a piece of past of many immigrants who arrived there, grew up and went elsewhere.
Now it is closed, it is no longer awelcome center for immigrants, once it was called “Buon Pastore 77 Hindukush”, there was me, a Romanian boy, two Albanians, a Kosovar, and a boy from Cameroon and finally a Pakistani and some other Afghans …
Each of these guys, like me, had their own limitated residence time, some of us more than others, some others came in and some other went out, when someone turned eighteen years old.
Almost all originally illiterate, we learned our language there, a common language, putting away the mother tongue, as well as learning the language we also had to learn a new way of eating, new tastes, new names for a new life.
We came from different countries, but we ate only one taste,one taste that it had been cooked in a single pot, over a single fire; our forks passed from mouth to mouth after each wash. Most of us were Muslim, our kitchen was small so we all ate only one type of food. In particular, when I was in Afghanistan foods had no date of expiry or packaging, on the contrary here, like us, the food had a date of birth and death.
Today these guys have been scattered around the world, some in Norway, some in Germany, some in France and England, while I remained alone. Our relationships which were borned in a welcome center have flown away forever, but I will paint my memories with my pen for my readers.
Gholam Najafi
//
Ricominciare
Oggi è il 4 ottobre 2020, l’acqua alta si infila tra le calli di Venezia silenziosamente, le calli sitrasformano in canali.
Questi canali d’acqua sembrano i vecchi ruscelli che vedevo da bambino in Afghanistan o quei canali che trasportavano il peso dell’acqua per aiutare i contadini nel loro lavoro oppure per far girare le pale dei mulini. Nel mio villaggio, nella regione di Ghazni, da quei mulini il nostro pane prendeva origine.
Ma oggi io sono qui, in mezzo all’acqua salata, acqua imbevibile, acqua che fa solo galleggiare i battelli. Io, per la prima volta, avevo assaggiato il suo sapore ignoto quando il mio gommone nuotava dalla Turchia verso la Grecia, la mia mente era ancora in Afghanistan, un paese che non conosce il mare, soprattutto il “sapore” del mare.
A distanza di anni, passeggiando nelle calli veneziane nel Sestiere di Castello dove la mia terza vita era iniziata, proprio in questa struttura dove Luigi, con la punta delle sue matite colorate e calorose, disegna la mappa di quel centro di accoglienza di minori non accompagnati mentre io gli spiego un pezzo del passato di molti immigrati arrivati, cresciuti e andati altrove da qui.
Sì ora è chiuso, non è più un centro di accoglienza, una volta si chiamava “Buon Pastore 77 – Hindukush, c’ero io, un rumeno, due albanesi, un kosovaro, un ragazzo del Camerun e infine un pakistano e altri afghani ancora…
Ognuno di questi ragazzi, come me, aveva il suo tempo di permanenza con i limiti, chi più echi meno, arrivava uno e usciva un altro quando compiva 18 anni.
Quasi tutti in origine analfabeti, imparavamo qui la nostra lingua, una lingua comune, mettendo via la lingua madre, oltre a imparare la lingua dovevamo imparare anche un nuovo modo di cibarci, nuovi gusti, nuovi nomi per una nuova vita.
Venivamo da diversi paesi, ma mangiavamo un gusto solo, un gusto che era stato cucinato in una unica pentola, sopra un solo fuoco; le nostre forchette giravano da una bocca all’altra dopo ogni lavaggio. La maggior parte di noi era di religione musulmana, la nostra cucina era piccola per cui tutti mangiavamo un solo tipo di cibo. Io, in particolare, una volta mangiavo tutti i cibi senza alcuna data di scadenza o di confezionamento, qui invece, come noi, anche icibi avevano una data di nascita e di morte.
Oggi questi ragazzi si sono sparpagliati per il mondo, alcuni in Norvegia, qualcuno in Germania, qualcuno in Francia e in Inghilterra, mentre io sono rimasto solo. Le nostre relazioni, nate nel centro di accoglienza, sono volate via per sempre, ma i ricordi io lidipingerò con la mia penna per i miei lettori.
Gholam Najafi
One thought on “Ricominciare / Start Again”
L’elemento quotidiano (acqua alta) porta al ricordo che porta all’esperienza del viagggio e dell’incontro il cui simbolo diventa il cibo… bello 🌸